Novembre 22, 2024

Il perdono culmine della preghiera cristiana

Si conclude oggi con la VII domenica del tempo ordinario (anno A) questa prima parte di anno liturgico che lascerà il posto al tempo di Quaresima, momento forte di meditazione e preghiera che richiama i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico.

Matteo che è l’Evangelista che ci guida per mano in questo anno, ha disegnato, nelle domeniche precedenti una magnifica mappa concettuale che ci consente di scrutare nelle nostre coscienze, preparandoci a ricercare la salvezza vivendo come agnelli e non come lupi. 

Abbiamo meditato con le beatitudini e come viverle e soprattutto capito che senza le quali non potremmo mai essere sale e luce già su questa terra; abbiamo poi toccato per mano che la legge non è freddo precetto, ma comunione e amore nel rispetto della propria vita e di quella degli altri, sia in senso materiale che spirituale. Oggi il nostro Santo patrono, ci fa atterrare sulla piattaforma del perdono, dell’amore verso l’altro e della piena carità e misericordia che diventa strada maestra verso il regno dei cieli.

La prima lettura di oggi presa dalla parte del libro del Levitico che viene denominata codice di santità, ci accompagna per mano e ci porta a capire che per essere sulla strada giusta basta poco (?), basta, se così si può dire, seguire il vecchio ma sempre nuovo insegnamento: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”

Amerai, seconda persona singolare dell’indicativo futuro di amare verbo conosciuto in grammatica ma come e dove incontrarlo nella vita per allenare il nostro cuore e il nostro essere persona a questo verbo?  Una palestra importante diventa il servizio verso l’altro nella carità che diventa prossimità, nell’ascolto e nell’abbraccio. L’amerai diventa amare nel presente spendendo del proprio, per donare all’altro il sorriso dell’integrazione, la speranza di un futuro migliore, la gioia del risorgere come persona nella sua piena dignità e splendore. 

Un amore che non è mai possesso, non è mai prevaricazione, non è “carcerizzazione” ma far risorgere l’altro senza tornaconto.

Ma io mi amo? Sono capace di ascoltarmi?

Domande propedeutiche perché solo chi sperimenta l’amore verso se stesso può essere capace di riversarlo sull’altro.  Solo chi conosce il dolore del distacco, la gioia dell’abbraccio e la speranza della Misericordia può incamminarsi su questa strada. Solo chi è capace di fermarsi a pregare per ascoltare il battito dei propri pensieri è capace di fermarsi ad ascoltare l’altro.

Nel Vangelo il concetto è rafforzato, Gesù ci impone all’inizio di rendere docile il cuore e non seguire falsi insegnamenti nel farsi giustizia da soli e applicare la “legge del taglione”.  Gesù ci porta a riflettere sul perdono ma non solo il perdono verso chi ci vuole bene, verso chi ci parla dolcemente e verso chi non ci contraddice mai.  Lo scatto in avanti che ci consente di vincere la partita della vita è amare i nostri nemici e pregare per quelli che ci perseguitano. Gesù come sempre va oltre, ci dice che sotto questo cielo c’è spazio per tutti, il sole sorge per i buoni e i cattivi e la pioggia accarezza i pensieri dei giusti e degli ingiusti… A questo punto rischiamo di perderci, rischiamo di non capire, ma allora perché comportarsi bene? Perché soffrire nel perdono, nel non gustare il dolce bicchiere della vendetta, il gusto profondo di guardare negli occhi chi soffre dopo averci fatto soffrire. 

Fermiamoci nel silenzio, non andiamo oltre. 

Regaliamoci due immagini.  Gesù sulla croce e il nostro inginocchiarsi nel sacramento della riconciliazione.

Sulla croce “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” ossia io offro le mie sofferenze, la mia dignità, la mia vita per te, per me, per tutti noi, io ti perdono perché ti amo più della mia vita.  Così come una madre nel momento del parto o come un padre che stringe al petto il figlio per proteggerlo dalle bombe che sono sempre più vicine a noi.

Nell’inginocchiarsi ai piedi del sacerdote e nell’ascoltare la frase “Io ti assolvo” sentiamo forte la Misericordia e la grazia di Dio che si riversa su di noi piccole creature. 

Creature che ascoltando la Parola, si sanno riconoscere né di Paolo, né di Apollo e né di Cefa, ma di “Cristo”e Cristo è di Dio” come ci istruisce la seconda lettura.

Diacono Vincenzo Salsano