Novembre 21, 2024

Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.

Mt 13, 24-43.

La parabola del grano e della zizzania, quante volte l’abbiamo letta, meditata e spiegata in modo quasi automatico parlando del bene e del male che è intorno a noi e quante volte abbiamo chiuso il discorso convincendoci che la zizzania intorno a noi va estirpata e bruciata perché in fondo in noi è innato il senso della giustizia, della pace e della carità.

Nelle letture di questa domenica viene fuori forte un’immagine di una realtà contadina, una scena rurale consueta ai tempi del pio israelita, che non conoscendo altro che i ritmi del tempo e della stagionalità misurava il suo essere seguendo alcune semplici leggi e precetti che lo ponevano al centro di un mondo che rispecchiava il tempo che era.

Un mondo che somiglia, nel macrocosmo, al nostro dove non c’è più una realtà contadina ma dove insiste con forza l’erba dell’aridità, fisica e spirituale, che ci spinge ad allontanarci sempre più dalla serenità e dalla felicità che il nostro Dio desidera per noi.

Partiamo dalla prima lettura che oggi più che mai si rannoda al Vangelo divenendo chiave di volta.

“La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti” in questo versetto della prima lettura di questa XVI settimana del tempo ordinario troviamo un’immagine di consapevolezza unica della forza che diventa strumento di docilità. Una conoscenza che non diventa motivo di sopraffazione verso l’altro ma un accompagnamento docile e umile dei propri figli.

Un comportamento che dovremmo seguire nel nostro agire come cristiani. Non è debolezza o impotenza ma volontà e capacità assoluta di conoscere bene e dominare la propria forza, di governarla e orientarla verso il sommo bene.

Quante volte lo facciamo? Siamo consapevoli della nostra forza? Come usiamo il nostro presunto potere terreno? Per sopraffare l’altro, per orientarlo con le nostre idee a compiere azioni atte a offendere il suo essere persona o lo accompagniamo con l’ascolto silente e l’esempio che illumina?

La parabola del Vangelo di oggi è un capolavoro di umiltà, pazienza e discernimento senza uguali.

La presenza del male in mezzo al bene, anzi molte volte che si confonde con esso.

Mi tornano in mente frammenti di vita vissuta come quando vogliamo aiutare chi è nel bisogno. Un gesto del “grano” dove ricerchiamo solo il bene dell’altro o un gesto da “zizzania” dove intendiamo portare al centro il nostro desiderio di protagonismo e soddisfacimento personale.

“Mi piace fare la carità”, “che gioia quando io regalo un pezzo di pane a chi è per strada”, è l’elemosina che si traveste di carità, dove per elemosina si intende dare qualcosa (monete o alimenti) senza voler mai entrare in relazione con chi chiede; la carità invece deve essere intesa come avvicinamento, conoscenza e dialogo, accompagnamento con chi vive un momento di bisogno.

Ancora la presenza della zizzania vicina al buon grano diventa motivo di inimicizia e di divisione, prima nel nostro io, poi verso il tu, che non diventerà mai noi. Divisione quando faccio delle mie azioni motivo di ripicca e guerra verso gli altri, quando non so riconoscere il vero bene e soprattutto quando me la prendo con Dio per la sua infinita pazienza di permettere che l’erba cattiva cresca vicino al bene. Perché Dio permetti che nel mio campo cresca anche la zizzania, perché non mi hai donato una vita carica di amore e di bene, perché Dio hai creato l’erba tossica tanto simile all’amore che il più delle volte non si riconosce?

In modo semplicistico si potrebbe rispondere filosoficamente dicendo a noi stessi che se non ci fosse il male non sapremmo riconoscere il bene, accontenteremo tutti e andremo a casa felici.

Credo che la domanda possa essere esplicitata anche in altro modo. C’è in tutti noi una forma grave d’impazienza, che ci porta a presumere di conoscere da subito, senza tentennamenti, il male e il bene; di essere certi di poter eliminare l’uno e far crescere l’altro. Esercizio forse possibile solo se mettiamo al centro della nostra vita la croce che è la pazienza infinita di Dio che ci scandalizza senza mezzi termini. Con tale esercizio sperare di trovare uno spiraglio di luce che ci illumini la strada, un esercizio che fa crescere con il bene anche il male che gode della luce del compassionevole e che da tale esercizio viene redenta e vinta.

Esercizio da compiere prima con noi stessi, di discernimento, per riconoscere la zizzania che è in noi. Penso a quando giudichiamo senza appello, quando glorifichiamo il nostro operato, quando siamo pretestuosi a dire che non esiste nessuno in grado di poterci guidare.

Penso a quanti bussano alla nostra mensa domenicale (parrocchia di San Demetrio-Salerno) che presi dal bisogno sarebbero disposti a seguire false sirene. La nostra intelligenza caritatevole deve trovare ispirazione dal libro della Sapienza (sopra citato) e diventare armonia che governa le cose. Rivedo tanti occhi smorti e tante speranze bruciate. Tante richieste che sono semplice affermazione di un’esistenza a cui tanto è stato negato. Vedo ragazzi diventati adulti troppo in fretta e nel contempo sento tante voci che dicono che sono loro l’erba cattiva da estirpare. Sono per molti ben pensanti, che riempiono anche le nostre chiese, l’erba cattiva che porta fastidio al “buon grano”, al buon grano che offre la monetina all’offertorio, che prega stando dritti e fieri in prima fila. Il buon grano che cambia marciapiede se incrocia da lontano un invisibile. L’erba buona a volte è vestita di stracci, sporca, schiava di qualche dipendenza, solitaria, che dorme sotto i ponti alle foci di un fiume.

Le parabole del granello di senape e del lievito presentano lo sviluppo vitale straordinario che da un seme minuscolo seminato in terra nasce una pianta capace di portare ombra e refrigerio a tanti uomini e il lievito che, mescolato alla farina, anzi nascosto in essa, la porta ad essere cibo succulento per l’umanità.

Allora il nostro buon Dio caritatevolmente spera e prega sempre per tutti noi affinché possiamo diventare la spiga di grano il cui chicco se non muore non porta frutto.

Una domanda, un’altra, affolla la mente in questa domenica di Luglio, ma se Dio non avesse pazienza e misericordia nel non estirpare la zizzania io dove mi troverei nel setaccio o portato via dal vento come la pula? “La speranza dell’empio è come pula portata dal vento, come schiuma leggera sospinta dalla tempesta, come fumo dal vento è dispersa, si dilegua come il ricordo dell’ospite di un sol giorno” (Sap 5 14-15).

Buona carità a tutti pregando di saper riconoscere il bene con la consapevolezza che il male non prevarrà e che questa parabola, in particolare nell’ultima parte, ci pone di fronte al mistero della morte feconda di Cristo.

Diacono Vincenzo Salsano